SANDRO BUTTAFAVA

- BIOGRAFIA -

Sandro Buttafava Pittore

Sandro Buttafava

(Verona, 3 dicembre 1923 - Bologna, 31 marzo 1977)

[…] Per lungo tempo Sandro Buttafava ha vissuto a Bologna. Ha soggiornato a Roma, Napoli e Milano. Marittimo e uomo di circo, le sue prime opere, maturate nel clima del dopoguerra, rappresentavano belve e tempeste marine. Scenografo con Prampolini conosce nel teatro le espressioni che diverranno tipiche dei suoi personaggi. Buttafava ha esposto nelle principali città italiane e sue opere sono negli Stati Uniti, Colombia, Scozia, Germania, Svizzera, Grecia e Russia. Apparso in TV in Cronache Italiane, più volte citato alla radio ha partecipato ad Arte Fano 1975 assieme a: Boschi, Contini, Cuniberti, De Micheli, De Vita, Francese, Guccione, Porzano, Pozzati, Saliola, Schifano, Zigaina, ecc...
Sull'opera di Buttafava hanno scritto: Francesco Arcangeli, Giorgio Azzolini, Luciano Bertacchini, Candido Bonvicini, Renzo Biason, Lino Cavallari, Emilio Contini, Giorgio Cortenova, Duilio Courir, Mauro Donini, Romeo Forni, Achille Lombini, Giancarlo Liuti, Aldo Maria Schmid, Mario Portalupi, Giorgio Ruggeri, Franco Solmi, Valeria Vicari. Ha lavorato con l'incarico di scenografo e costumista per compagnie d'arte drammatica. Ha illustrato libri per la casa editrice Cappelli.

Sandro Buttafava Pittore

Una vita spesa all'insegna dell'emozione, una frenetica insoddisfazione, un pagare di persona; nausea per il compromesso, la favola come una bandiera a brandelli, l'ironia come difesa, Whisky e pugilato come Hemingway la natura come Teatro, sfiducia nella cultura, disubbidienza, rivolta e un occhio alla Buster Keaton: forse la faccia stessa della pittura di Buttafava che evoca fantasie beffarde e burlesche; birichinate portuali condite da gesti osceni, imprese inconfessabili e disarmanti come la mano di un bimbo che dorme.

Dietro alla prima carta delle marine, Buttafava cela una permanenza sull'Adriatico, come marittimo di piccolo cabotaggio. Si ha una breve traccia in alcuni quadri di tempeste del 1951, senza memorie e senza storia.
Solo intorno al 1954 (periodo viola-bruno-bianco) alcune immagini prendono forma sul litorale, quasi tediate dall'acqua. Discorso che si coagula, via via, nelle "attese" e negli "addii" sulle spiagge bianche o all'interno di certe cucine scarne dove appaiono le prime casseruole, investite da un uragano cromatico.
Con la "famiglia del pescatore" del 1955, esposta ad Ancona e di proprietà della Capitaneria di Porto, il mare si allontana; diventa una linea blu che taglia in due il quadro alle spalle di figure con le mani eleganti e lo sguardo ammaliato. Immagini nate e cresciute tra il mare e la terra, in una frangia geografica che si potrebbe riconoscere mediterranea; la sabbia umida fa da prefazione, con altri residui, alle trasparenti profondità marine, su cui riemergono giostre di memoria senza senso e senza amore.

In alcune marine del 1960, nella parte buia del quadro, piccole figure sembrano assorte in strani traffici, non sono pescatori. Le forme paiono rapprese intorno al nucleo centrale; le scene sono illuminate da una luce improvvisa, impudica.

Trascorre un periodo col circo Jarz.
Esiste una pittura del circo sulla quale non ci pare sia il caso di soffermarci. Ma pensiamo non si possa parlare, nel suo caso, di Pittura del Circo, almeno intesa come clowns, cavalli, domatori, belve, lanciatore di coltelli, trapezista. Infatti, nelle tele di Buttafava registriamo, come nelle marine, delle figure in primo piano dove la rappresentazione sembra dipanarsi, in genere, da un viso preso di tre quarti, sul quale fa perno l'intera vicenda per esaurirsi, poi, nelle due porte scure dei due carrozzoni laterali.

Sandro Buttafava Pittore

Gli uomini del circo sembrano uscire, per brevi momenti, con solenne circospezione dagli anfratti bui dei loro baracconi per farsi ritrarre in privata sede, al di fuori di un ruolo fisso: domatore, giocoliere, mangiatore di fuoco e di lamette, eccetera; gente in attesa dell'imbrunire, quando sprazzi di luce amaranto accenderanno il Luna Park. Allora, gli spettacoli saranno una festa di stracci variopinti; l'arco di trionfo è decorato con false vegetazioni; il solito motivo musicale degli ottoni infesta l'aria come le parole false dei riti.

Nel 1965, è attratto da qualsiasi simbiosi metrica. Siamo ai primi Pinocchi, alcuni accanto alle suppellettili di cucina. Sembrano di terracotta o, per lo meno, della terracotta hanno l'aspetto, quasi per sottrarsi ad una destinazione collodiana che li vuole di legno.
Feriti, sgangherati. Aspetti di un mondo tutto osservato con attenzione, ma senza tormento apparente: una parola diventa un oggetto. Con la carta, i legni, i chiodi, lo spago, il fil di ferro, le schegge, gli incastri, i buchi, i fiocchetti, i velluti, le abrasioni, le porpore, i vetri e le stagnole, Buttafava fabbrica un Buster-Pinocchio con parole dipinte che vivono alla giornata.
Ebbe a presentarli Lino Cavallari: quasi un battesimo. Nei primi, per lo più grafici, predomina l'impatto con la realtà vincente, tenuti insieme con filo di ferro e chiodi. Subiranno, poi, una breve avventura formale, così presto conclusa, a cui si interessò, in una nota critica, Giorgio Ruggeri. "Ha conservato una elegante e disinvolta impostazione del quadro soprattutto in alcune tempere (se non andiamo errati) a scapito però di un approfondimento del tema. In altre dove sovente ricorre una "macchina", uncinata e inchiodata come lo spirito di un uomo che abbia profondamente sofferto, la tensione si stringe, il discorso si fa più serrato e sfiora la poesia, ma c'è qualcosa di voluto, di costruito, per cui la grazia pare offuscata with the pale cast of thought".

Buttafava, più che pittore di fantasia è un testimone di fatti e di aspetti intimistici, di cui fissa i contorni principali attingendoli dal sollecito ventriloquio della coscienza di un Buster Keaton che fa scuola alle generazioni nuove, convinto, com'è, che la ragione stia in un posto solo.
La sua pittura, allora, scivola, non ha agganci o posizioni precise. L'artista vuole sentirsi figlio di nessuno il più possibile. Non si è mai posto il problema delle tematiche annuali o biennali. Nè ha voluto capire l'astrattismo come non ha preso sul serio l'informale pur seguendo, con attenzione, l'estremo fare di queste tendenze, considerandole un grosso fatto di cultura. Aveva espresso grosse perplessità per chi, assieme alla negazione del bello e del sentimento, aggiungeva il rifiuto del folclore come cultura di masse subalterne.
Buttafava va per la sua strada!

Sandro Buttafava Pittore

Nel 1968 appaiono le prime casseruole, stranamente richiamano i fiori, che si fanno più ispidi e polverosi. Ma nulla è strettamente definito. Una raffigurazione chiama l'altra: oroscopo del quadro di domani. Un mondo fisso e fuori stagione, che si ripete con feroce continuità e fredda ostinazione sentimentale.
Buttafava, infatti, che aveva accennato alla presenza di alcune casseruole accanto a figure, riprenderà i contenitori che ha visto un po' ovunque; barattoli di pomodoro e di marmellata: umili navi di tutti i fiumi d'Italia. Le gavette di tutti gli eserciti; le ciotole di legno dei forzati; le cuccume candide come sottovesti; quella arrugginita che bolliva sulla brace di carbone, in Adriatico; una "napoletana" il cui ronfare scandiva le ore di studio a Napoli; il bricco di rame perduto a Londra; le tazzine floreali e minuziose dalle quali le sue bambole mai berranno; i pentoloni profumati di Natale.
Sospesi in un panorama domestico, un vero carnevale di cucina, gli oggetti sono attaccati ai chiodi a becco di un graticciato: quasi un'ordinata esposizione in una boutique. Batterie di tegami, pentole, casseruole piccole e grandi, piatte e profonde, profondissime, amanti dei luoghi caldi; schierate per il grande pranzo festivo: ogni commensale ne avrà una; e tutto servirà a banchetti fatati dove il Re, il Principe, il mendicante e l'orco mangiano carne di cattivi usurpatori.

Dal 1968 al 1970, assieme ai pentolini, si susseguono Pinocchi e Pinocchietti (vere e proprie storie di burattino). Dal 1970 questo personaggio sembra ambientarsi in una serra di fiori somiglianti, vagamente, agli anemoni. Per fondo hanno la sequela delle suppellettili irrorate da un cromatismo carico.
Fiori che non sono papaveri come qualcuno, frettolosamente, ha voluto scrivere, ma fiori di carta in uso un tempo, per carnevale. Fiori che, probabilmente, sarebbe impossibile collocare in un'area critica se non li considerassimo nati e cresciuti in un ambiente costellato di personaggi sempre più disponibili ad una festa disperata, dove manca tutto, eccetto il bere.

Nella teatralità di Buttafava appaiono anche le macchine degli amanti, esposte a Bologna nel 1971 e delle quali noi ricordiamo cinque esemplari, dove la tensione scenica ha il suo fulcro intorno a un bacio scambiato non all'interno, come parrebbe (l'auto è uno spezzato praticabile al centro di un palcoscenico) ma dietro a una forma somigliante a un'auto. Sul vetro di carta trasparente è incollata l'immagine di due visi; nella parte posteriore s'indovinano i due supporti che conservano, verticale al suolo, l'immagine e il fondalino è prossimo, spesso viola, dove le parole diventano un atteggiamento.

Le auto: cartoline di ingenui innamorati intorno al '20, dipinte con aniline, un viso racchiuso in un medaglione, la brillantina e la scriminatura che tagli in due la testa. Sul palcoscenico, i richiami son tali e tanti che ricordano le diverse tappe dell'artista. Sono presenti anche, riprodotti, i due quadri di Pianoforte fabbricato con cassette di frutta di cui l'autore non ricorda la collocazione. Con l'abilità plastica di uno scultore, Buttafava "fabbrica", con materie espanse, alcuni Pinocchi la cui espressione evidenzia, insieme, uno spirito randagio che torna indietro nel tempo e una certa sete inappagata di potere. Queste esperienze sono del 1968. Intimamente connessi a queste ricerche polimateriche ci sembrano puntualizzati, prepotentemente, i processi formatici, se non nell'esecuzione in se stessa, nell'antefatto esecutivo.

Sandro Buttafava Pittore Buttafava, dunque, resta sposato ad un suo suggestivo realismo di denuncia, dove il soggetto assume una posizione d'equilibrio fra il bene e il male, fra il concreto e il fasullo, fra la fantasia e la verità. Resta lontano, anzi, è nemico delle false grandezze, delle enunciazioni fondate sulla causa e sulla scusa del progresso che mette sotto inchiesta l'autenticità di una frase sentita mentre lo spirito corre il rischio di mettersi di traverso, proprio perché gli occhi della gente faticano a trovare l'intima trasparenza delle cose sincere. Gente comune del "fammi capire perché non ho capito", collocata, appunto, in un'epoca straordinariamente dissociata, dove le stesse parole restano sempre più immagini prive di significato.

Romeo Forni, "Sandro Buttafava", Bologna 1975

 


- OPERE SU TELA -

Arlecchino che fuma OT01 Due ragazzi OT02 Luna park OT03 Midnight OT04 Il fiasco e i fiori OT05 Luna park OT06 L'ultima fiaba 1975 OT07 Pentoline OT08 Risveglio d'Arlecchino 1969 OT09 Cucina di fratta OT10 Arlecchinetto 1975 OT11 Paesaggio 1973 OT12 Fiori OT13 Fiori OT14 Arlecchino OT16 Pinocchio con i fiori OT17 Pinocchio con bambino OT18 Paesaggio 1974
OT19 Paesaggio OT20 Pinocchio lombardo 1969 OT21 Ragazzi a Trastevere 1946 OT22 Due ragazzi a Cremona 1970 OT23 Automobile 1971 OT24 Automobile OT25 Automobile OT26 Ragazzze in studio 1970 OT27 Bambola con pentoline OT28 Autritratto (da un appunto di A. Randazzo) 1972 OT29 Pentoline OT30 Fiori OT31 Fiori grandi OT32 Paesaggio 05 OT33 Arlecchino 02 OT34 Bambina con bambola OT35 La spiaggia 1971 OT36 La spiaggia
OOT37 Cucina di fratta OT38 Paesaggio Lombardo 1960 OT39 Pentoline 1970 OT40 La bambola col cappello OT41 Lo studio del pittore OT42 Paesaggio OT43 Paesaggio 01 OT44 Paesaggio OT45 Paesaggio OT46 Pinocchio seduto OT47 Pentoline OT48 Pinocchio con bambole OT49 La compagnia di Pinocchio OT50 Luna Park OT51 Arlecchino con bambini OT52 Luna Park OT53 Arlecchino OT54 Arlecchino al luna park OT70 ragazza azzurra
OT55 Burattini 1958 OT56 La spiaggia OT57 Arlecchino OT58 Fiori piccoli OT59 Paesaggio piccolo OT60 Casetta OT61 Riposo di arlecchino OT62 Arlecchino OT63 Fiori con bambina OT64 Fiori OT65 Pentolini OT66 Il Circo OT67 Arlecchino OT68 Arlecchino OT69 Arlecchino OT71 Arlecchino_con_fiori OT15 Arlecchino e Pinocchio 1973

 


- OPERE SU CARTA -

OC01 Don Chisciotte 1968 OC02 Burattini 1967 OC03 Pinocchio 1974 OC04 La corrida 1969 OC05 Il soldato OC06 Crocifissione con Pinocchio 1967 OC07 Pinocchio e le pentoline OC08 Il Gatto e la Volpe 1969 OC09 Pinocchio
OC11 Il merlo ha fischiato 1968 OC12 Il merlo ha fischiato 1968 OC13 Il merlo ha fischiato 1968 OC14 Il merlo ha fischiato 1968 OC15 Il merlo ha fischiato 1968 OC16 Il merlo ha fischiato 1968 OC17 Il merlo ha fischiato 1968 OC18 Il merlo ha fischiato 1968 OC19 La carta di Pinocchio 1967
OC21 Fiori OC22 Fiori OC23 Pinocchio 1970 OC24 Crecifissione OC25 Arlecchino OC26 Maschere 1970 OC27 Arlecchino e Pinocchio OC28 Pentoline OC29 Mosche OC30 Pinocchio
OC31 Fiori OC32 L'orchestrina OC33 Marina 1950 c.a OC34 Pinocchio a Roma 1974 OC35 Gatto a Milano 1970 OC36 Marina OC37 Danza Jazz OC38 Danza OC39 Pinocchio sulla sedia OC40 Nudo di donna OC41 Marina con ragazzi OC10 Il merlo ha fischiato 1968 OC20 Fiori 1967
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- SAGGI CRITICI -

Sandro Buttafava Pittore

ALCUNE TESTIMONIANZE

Sandro Buttafava torna a proporsi al "Crocicchio". Automobili, pentole, gente, Pinocchi sono gli argomenti solo in apparenza eterogenei che il pittore ha sfornato in quest'ultimo periodo. È come il diario dell'appartato: l'artista, infatti, obbedisce più ai suoi umori che non agli imperativi delle mode. Ecco perché non è mai stato "nel vento": quello, cioè, fatuo e volubile degli accademismi. Ha fatto una scelta, a suo tempo, e vi è rimasto fedele. E ogni mostra l'affronta con la serietà e l'apprensione di un bimbo che si appresti alla prima Comunione.
Buttafava, un veronese dl 1923 da decenni stabilitosi a Bologna, negli anni ribollenti del dopoguerra militò nel gruppo neorealista che rappresentava con fervore e passione il dramma vitalistico dell'uomo alla ricerca di se stesso fra i dispersi frantumi della propria esistenza.Furono momenti esaltanti, custodito nello scrigno dei ricordi. In quel periodo Buttafava era a Roma, dove frequentava Guttuso, Vespignani e Prampolini: e fu quest'ultimo a iniziarlo alla scenografia teatrale.
Ricco di conseguenze fu anche un prolungato soggiorno in America: il pittore, al suo ritorno, rielaborò le multiforme suggestioni riportate in una nazione ancora trionfalistica.
Buttafava ama la metafora, ma non la rende impenetrabile. Altri suoi caratteristici translati sono le figurine circensi (aggregato al Circo Jarz per alcuni mesi ne ha dipinto le belve e i personaggi stravolti e favolosi) e trofei di pentolini irregimentati sotto il pianale di un camino, agli ordini di qualche cuccuma in posizione di preminenza (il mondo, come dice il commediografo Arnold Wesker è, in definitiva, una grande cucina dove si manipolano le nostre emozioni). E poi le automobili in disarmo, entro cui si svolgono intimistiche "bagarres" di amanti tediati (piccole macchine teatrali in cui si consuma la vacuità dei gesti e delle intenzioni). Buttafava, gran commediante.

r. v.



Un'apparizione all'anno, tanto per tener desto il ricordo di sé: per il resto Sandro Buttafava non si concede alla mondanità ma si concentra piuttosto nel lavoro costante di pittore. Affatto scialacquatore della sua attività espositiva (l'aspetto commerciale è la maledizione degli artisti ma è un versante purtroppo irrinunciabile della loro presenza sulla scena) Buttafava si propone dal 9 al 20 novembre nella piccola galleria di piazza dei Tribunali 5, che ha cambiato nome e gestione alcune volte in questi ultimi anni e che si chiama ora "Studio d'arte A 5".
Che cosa viene a darci di nuovo questo indefettibile campione della pittura figurativa? Che verità ha scoperto questo eterno saltimbanco? Una e fondamentale, si direbbe: che nei nostri tempi disperati è ancora possibile coltivare la speranza. Nel suo studiolo di via d'Azeglio 78, quasi un orticello pascoliano, Buttafava dà corpo alle sue malinconie dipingendo di preferenza una umanità infantile e tutt'al più adolescente che denuncia chiaramente le percosse del mondo. Le sue poupées sono parenti strette delle bambolette che capita di vedere sulle spiagge, fra rottami e involucri di plastica, dopo il rifiuto dei flutti marini.
Eppure, nonostante la inevitabile pena che queste creature stupefatte esprimono sui loro visi, trasmettono anche un gioioso messaggio di speranza. Proprio perché sono giovani, perché la continuità della vita - come in una staffetta esistenziale - è affidata alle loro fresche forze come da un lascito da parte di chi è stato sottoposto a feroci burrasche.
Ben più amaro Buttafava, dai colori sempre gioiosi, ci sembra allorché delinea ogni umano cedimento morale sotto la specie del burattino collodiano: qui, come si è detto in altra occasione, si trova cristallizzato ogni slancio, reso inutile ogni impulso, codificata la sconfitta. Tali temi sono quelli di sempre nell'opera di questo probo artista di origine veronese che, come dice la sua biografia, "scenografo con Prampolini trova nel teatro le espressioni dei suoi personaggi".

Lino Cavallari



Dopo una lunga parentesi il Ridotto del nostro Teatro Comunale ha riaperto i battenti ospitando una "personale" del pittore Sandro Buttafava.
Ad introdurci nel mondo eminentemente figurativo di questo interessante artista sta il quadro "Suonatori di jazz". Sono infatti opere - queste presentate nell'attuale rassegna ferrarese- caratteristiche del periodo "jazz" dove desideri, volontà e passioni umane trovano una attenta analisi e una consonante partecipazione da parte dell'artista.
Sandro Buttafava si accosta al mondo moderno su di un piano di meditazione culturale: in uno spazio fisico e sensitivamente avvertibile, l'artista ha condotto un'indagine - arriveremmo quasi a dire giornalistica - del tempo e del costume d'oggi. I suoi ragazzi dalle pose dinoccolate, le ragazzine con i maglioni, la gente eccitata e festante per le strade, senza una ragione, questa folla che popola le opere di Buttafava è fatta di personaggi e ambienti che ognuno di noi vede nell'esperienza quotidiana. È una antologia di vita moderna, vista dall'occhio disincantato di un artista che ha in sé anche validissime doti di colorista e di disegnatore.
Potremmo, al di sotto della prima apparenza, quella cioè di un'efficace documentazione di un certo stato sociale, trovare un più nascosto mondo simbolico. A questo induce l'uso accorto del disegno che crea una sua trama al di sotto (o al di sopra?) del colore, il tutto sostenuto da un calore d'intelligenza che non è fine a se stesso, ma specchio di nuove immagini e nuove moralità.
Di una cosa ancora vorremmo avvertire il lettore che non abbia ancora visitato l'interessante "personale" accolta nel Ridotto del Comunale e che chiuderà i battenti il 19 prossimo: vorremmo sottolineare il distacco netto, preciso che è possibile avvertire tra quest'arte di Buttafava, da tanta altra consimile produzione frutto di artifizio artistico o di elucubrazione del tutto celebrale. Il grande rinnovamento artistico che nato in Francia ha percorso l'intero mondo, scalzando miti e creando nuovi altari all'arte, ha abituato molti ad accettare ogni più strampalata produzione come fenomeno artistico, in nome di un mal inteso rispetto per la "rivoluzione artistica". Buttafava non è in questa scia di bluffatori: la sua produzione risente di un gusto preciso e accordato al tema che le opere stesse trattano. Tuttalpiù, può essere intesa come un'esperienza e non un punto d'arrivo. Ma crediamo che in questo possa convenire anche lo stesso Buttafava, che ha avuto la soddisfazione, in questi suoi giorni di permanenza a Ferrara, di vedere costante concorso di folla alla sua "personale" ed ha sentito l'interesse e la cordialità con la quale la sua produzione è stata accolta nella nostra città.

(dalla Gazzetta di Ferrara, 1958)



A a scorrere i cenni biografici di Sandro Buttafava si possono avere indicazioni abbastanza valide che consentono di avvicinarsi ai suoi lavori, nei quali si ritrovano riporti di condizioni trascorse, di meditazioni struggenti, per non potersi liberare dalle reazioni di una esistenza multiforme.
Ne derivano stati d'animo che il pittore esprime con sottile garbo ed una parvenza di ingenuità scoprendo nell'adulto l'incapacità di realizzarsi contrapponendovi immagini di bambini immobili in una tristezza dolorosa, muovendo un'accusa di silenzio. Le bambole, Arlecchino, i due magnifici Pinocchio dedicati ai "Sacco e Vanzetti" di oggi, a chi in tutto il mondo ha sofferto i dolori dell'ingiustizia in nome della giustizia, sono temi ricorrenti nelle opere di Sandro Buttafava.

Mauro Donini



La tecnica particolare che Sandro Buttafava adopera nel suo fare pittorico dà un risalto ed una immediatezza felicemente poetica al materializzarsi della sua fantasia. E se nei suoi quadri si riconosce una amarissima vena sentimentale ed una cupezza di timbro quasi espressionistico le possibilità costruttive del colore (l'insistenza dei toni grigi, di una fredda ed arida luminosità)sono sfruttate fino ai limiti estremi dello spazio pittorico in cui vivono. La materia pittorica di Sandro Buttafava è avara e magra ma s'impone con un'incisività ed acutezza di segno che spesso raggiunge la verità fantastica ed immediata del linguaggio poetico espresso attraverso un'invenzione inquieta e sofferta.

Duilio Courir



"Anche il candore può essere utile per esprimersi, quando si sia spericolati o corrotti", esordisce il pittore bolognese Sandro Buttafava, corporatura da Falstaff sprofondata in poltrona ed eloquio persuasivo. Lo studio, in via d'Azeglio 78, non è il ricco atelier del pittore alla moda ma, oltre alle tele che sprigionano il caratteristico sentore di vernice fresca, ospita anche molti libri(particolare molto significativo) e c'è da bere per tutti i fedeli amici che, sul far della sera, entrano a far quattro chiacchiere e a commentare l'ultima. "Si prenda, ad esempio, il simbolo ingenuo che ormai mi si attribuisce come il mio marchio di fabbrica: Pinocchio. È un soggetto gradevole, malgrado sia veramente malmesso, col corpo di legno fratturato e i nervi di spago che gli escono da tutte le parti. Si, è proprio un rottame; ma con una facile metafora si può immaginare che cosa significhi: Pinocchio è ciascuno di noi, che ci arrabattiamo su un palcoscenico sconnesso e compiamo gli atti prescritti dal copione...".
Buttafava, uomo dalle molteplici esperienze artistiche maturate col sudore, non si sottrae a questo destino comune: "anch'io sono stato un Pinocchio fra dei gran Pinocchioni: intendo dire la gente dei circhi di quart'ordine, perseguitati politici, disertori o peggio, nel primo dopoguerra. Ho dipinto parecchi luna-park, per essere vicino all'uomo finalmente uscito dal terrore e ancora incredulo di esser vivo. E io giravo intorno a quest'uomo smarrito come intorno a me stesso. Mi sono formato nel clima del neorealismo, quello in cui operarono Guttuso, Corpora e Vespignani, per intenderci. Ma mentre essi tentavano di caratterizzare i sopravvissuti che ricercavano il loro riscatto sociale, io li vedevo nella loro essenza di dispersi, ai quali né il marxismo né il cattolicesimo recavano consolazione. Il circo, per me, è stata una esperienza indimenticabile, precedente a quella di scenografo, alla quale il dettato di Prampolini arrecò grandi vantaggi, primo fra tutti il coraggio morale, in pittura, di tagliare il quadro, proprio in senso letterale, eliminando ogni sovrabbondanza...".
Dunque, la grama creatura di Collodi, usurata e rattrappita, reietta e soltanto buona da gettare nella spazzatura, alla quale con molta leggerezza la gente attribuisce un comico destino mentre invece nasconde una potente carica di amarezza, ha fatto il giro del mondo: lo conoscono in America e in Unione Sovietica, oltre che in molte nazione europee. Anche a Bologna adorna le pareti di intelligenti collezionisti. E ora, com'è il Buttafava 1970? Si riconosce ancora nel burattino? "No, il processo di immedesimazione è finito. Guardo me stesso come Pinocchio, al termine delle sue disavventure, svegliandosi in carne ed ossa, commiserava le sue spoglie da marionetta. Ho intrapreso un altro discorso, quello degli dei del fumetto. Ma dilungarmi mi porterebbe troppo in là. Solo il tempo dirà se sono nel giusto".

Lino Cavallari



Anche Sandro Buttafava si propone fuorivia: a Milano, nella galleria Chieregato (corso Buenos Aires, 6). Il pittore bolognese ha sempre conservato un animo vulnerabile, mai assuefatto né corrivo al male del mondo. Sotto una vernice apparentemente fatua e brillante nasconde invece una profonda sensibilità che, pur nell'accezione della lotta, gli ha fatto preferire una posizione di appartato. Da questo osservatorio, peraltro, non si è messo a lanciare moniti né anatemi di sterile efficacia, ma in una visione ben più allargata della vita trasfigura in simboli facilmente comprensibili le più comuni condizioni esistenziali che comportano sofferenza della personalità: i Pinocchi, raffigurazione delle diuturne traversie, i piccoli saltimbanchi, rappresentazione dei flutti umorali, le sfilate dei pentolini, traslato di ogni coatta reggimentazione, ecc.
Buttafava dalla vita ruggente - marittimo, aggregato circense, scenografo prampoliniano e chissà quant'altro - in una trepida maturità a recuperato tutto se stesso.

Lino Cavallari

- MOSTRE -

Sandro Buttafava Pittore

ALCUNE MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE


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